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Ciao a tutti.

Dopo una luuuuunghissima attesa, ritorno a scrivere con un tema molto delicato ma che mi sta molto a cuore, poiché fra tutte le domande curiose che mi vengono poste questa è la più gettonata:

” Ma si può vivere di sola Pet Therapy?”

Bhe se anche voi siete curiosi non vi resta che leggere tutto d’un fiato il mio articoletto…e per chi lo sà io non mento quindi…BUONA LETTURA!

Bella domanda dai…. e si darebbe per scontata la risposta, visti i numerosi corsi che stanno prendendo avvio negli ultimi anni in Italia, e che seguono gli altrettanto numerosi percorsi avviati negli ultimi anni dallo stesso Centro di Referenza Nazionale per gli Interventi Assistiti con gli Animali, che ha avuto il merito di elaborare le linee guida nazionali che regolamentano il settore della Pet Therapy.

Peccato che negli infiniti tavoli di lavoro che hanno preceduto l’emanazione delle linee guida stesse, nessuno abbia mai accennato alla sua sostenibilità. O meglio… qualcuno – talvolta in maniera accesa – ne ha fatto ben più di un semplice cenno, ma è sempre stato bellamente ignorato. Eppure bastava porsi una semplice domanda:

QUANTE PERSONE IN ITALIA VIVONO DI PET THERAPY?

Ma la risposta poteva far paura, perché il numero di chi sopravvive (“vive” è un termine forse troppo impegnativo) forse non arriva nemmeno a dieci. E quando dico “vive’ intendo ‘esclusivamente’, dedicandosi pienamente a queste splendide attività. Quanto meno in maniera ‘prevalente’ rispetto ad altre attività integrative affini (docenze, progetti di ricerca, educazione cinofila, ecc.).

Non dico che non si possa conciliare quest’attività con altre. Anzi. È necessario.

Ma allora perché stabilire una formazione così corposa (ricordo che sono circa 200 ore secondo le linee guida), sicuramente onerosa per chi la frequenta, per poter svolgere un’attività che ti obbliga oltretutto a lavorare in team con esperti di vari settori (nelle linee guida si parla di equipe multidisciplinare) in un mercato caratterizzato da numerosi vincoli che ne frustrano poi la realizzazione professionale. “Vincoli? Ma scherziamo? Quali vincoli?” dirà qualcuno.

Mi sono ritrovata personalmente a spiegare, nelle ultime lezioni in più d’uno di questi frequentatissimi corsi, che c’erano – ahimè – dei vincoli. E ne ripeto alcuni in questa sede:

  • Lavoriamo con un essere vivente, il nostro animale, il quale è il nostro strumento di lavoro (inorridisco io stesso nel dirlo, ma uso necessariamente questo termine per rendere al meglio quello che intendo trasmettere) e che è soggetto a malattie, ha un’infanzia e una vecchiaia, ha necessità prima e dopo l’intervento assistito, abbisogna di attenzione e amore costanti (e siamo felici nel dargliene a piene mani), di cure. E mi fermo qua. Non è il lettino del fisioterapista o lo strumento musicale del musicoterapista.
  • Se penso all’uso che ne posso fare (altra aberrazione terminologica che mi permetto, ma consapevolmente) non è certo illimitato rispetto a lettino o chitarra. E non dipende da una mia capacità o bravura, ma da una sua capacità di rispondere a situazioni spesso emotivamente molto forti che impattano sul suo benessere psicofisico. Ricordo a tutti che chi ci chiama ci considera quasi sempre l’ultima spiaggia, e le situazioni su cui ci chiedono di intervenire sono solitamente molto complesse. E il mondo emozionale del nostro animale è messo a dura prova. Diciamo che – nel caso di un cane – può reggere un’ora? E per quel giorno lo lasciamo poi stare in pace? Nella nostra organizzazione ci siamo dati un limite di un’ora a settimana… talora solo una mezz’ora, mai più di due ore (in giorni diversi)… ma forse ci preoccupiamo troppo dei nostri animali (magari un nostro limite…).
  • Ne segue che il raggio d’azione è limitato (lavorare un’ora, con un’altra ora di viaggio di andata e un’ora di ritorno è chiaramente controproducente e antieconomico…)
  • Quanto dura un progetto? Non parlo di progetti di ricerca finanziati da enti ministeriali, ma di progetti di lavoro, richiesti da chi ritiene questi interventi siano utili a migliorare il benessere psicofisico di bambini, anziani o persone con le più diverse situazioni di disagio.
    Risposta: molto poco. Si va dalle 6-8 ore alle 20 ore (all’anno!). “Così poco? E come mai?” dirà sempre quel qualcuno… Perché hanno un costo (senza tener conto che oggi non ce n’è per nessuno), ed è un costo già stabilito nella maggior parte dei casi; perché la Pet Therapy è solo l’ultima delle modalità di lavoro presenti sul mercato. Per cui le scuole pagano ‘quel tot’ all’ora (e non importa che attività sia), i laboratori occupazionali per persone con disabilità pagano quell’altro tot, come da regolamento, le case di riposo quell’altro tot ancora… Non siamo noi – che ci proponiamo – a stabilire la tariffa. Affatto! Quella l’ha già stabilita il mercato. Noi ci dobbiamo solo adeguare, argomentando con grande sforzo l’eventuale (mi raccomando, piccolo…) sovrapprezzo, sempre che ci sia consentito.
  • E se il richiedente è un ente pubblico non dimentichiamo che anche per un piccolo progetto occorre essere inseriti nella piattaforma online degli appalti in rete, dimostrare di avere esperienza, firmare digitalmente tutti i documenti ed emettere fattura elettronica. Questo il prodotto della semplificazione amministrativa introdotta dal governo…
  • Ma non posso lavorare da solo…ho bisogno di un’equipe. Sempre pagata all’interno di una tariffa già stabilita e spesso risibile nel suo ammontare. Ma, un momento, e quale inquadramento scelgo sotto il profilo giuslavoristico? Non posso certo mettermi a libro paga, caspita. Sono sola, almeno quando parto…aprirò la partita IVA. Giusto. E non dimentichiamo che la tassazione in Italia per le partite IVA è superiore al 55% (includo i contributi previdenziali, anche se alla pensione oggi è sempre arduo pensare come a qualcosa di realmente raggiungibile…). “Cosa?” “Ma – iniziamo a fare un esempio – vuol dire che se un’ora di progetto mi viene pagata 60€, ne metto in tasca solo 27? Si. Ma nei 27€ devo considerare il tempo che impiego per aggiornarmi, promuovere l’attività sul mio territorio, curare le relazioni, pagare commercialista, macchina e telefono, eventuali affitti di sede o campo di lavoro, assicurazioni e spese veterinarie, abbigliamento e guinzaglieria, materiali vari. Non aggiungo altro, penso basti questo. Ah, dimenticavo che c’è da compensare anche l’impegno degli altri membri dell’equipe…
  • Mettiamo un altro po’ di carne al fuoco: se è una scuola che ci chiama, per un bel progetto di 8 ore, ci chiede di presentare un preventivo (e via con la trafila dell’appalto in rete, dove vince sempre chi fa il prezzo più basso) nella primavera, per poi decidere il vincitore a fine estate e avviare l’intervento nell’inverno o spesso nella primavera successiva. Quindi a volte passa quasi un anno. E nel frattempo? E fatte comunque quelle 8 ore in due mesi? Certo bisogna darsi da fare, darci un giro, fare progetti su progetti (col rischio di tirare su di tutto e di più a discapito della qualità…quindi l’etica in questo settore – è importantissima). Bisogna organizzarsi, ma il notaio costa… Allora facciamo una bella associazione sportivo dilettantistica…giusto. Ma siamo poi credibili nel promuovere un servizio professionale con un’associazione sportivo dilettantistica? Ci vuole coerenza… Ma capisco i costi. Li capisco davvero. Solo per buttare lì un altro piccolo limite.

MA PERCHÉ QUESTE COSE VI VENGONO DETTE SOLO ALLA FINE?

Questa la domanda che mi son sentita dire in alcune occasioni dai corsisti, il cui entusiasmo (motore fondamentale per chi opera in questo campo) era ormai sceso sotto i tacchi… Io solitamente rispondo che le passioni vanno perseguite con tenacia, e l’amore per gli animali ti moltiplica le forze ed è un forte stimolo alla crescita personale, oltre che professionale… Che si tratta di integrare questo ambito con altre attività, magari connesse (formazione, educazione cinofila, tutto quello che volete metterci…spazio alla creatività).

Mi sono trovata in grossa difficoltà, davanti a tante persone, che non volevano credere alla feroce disillusione che li animava. Un entusiasmo così non può andar deluso! Bisogna essere onesti nel dire le cose. E nel creare leggi intelligenti, sostenibili, applicabili. Non basta un bel documento. Occorre molto di più.

Ma per ottenerlo occorre chiedere a chi in quel settore ci lavora tutti i giorni (e poi ascoltare…). A chi conosce ogni sfaccettatura di quel lavoro. A chi vive giorno e notte di quello. A chi le ha provate (e le sta provando) tutte… perché ci crede, perché vede quali effetti producono, quali cambiamenti sortiscono. Sugli altri e su di sé…

Ma serve anche un’ultima cosa: la giusta dose di umiltà.

F.P.